Il nazionalismo russo, 1900-1914. Identità, politica, società.

Ottobre 18, 2022

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I “nemici interni” erano i liberali, i socialisti, gli ebrei, e quelle categorie considerate da Russkoe Sobranie come intimamente ostili all’autocrazia. Il preci-pitarsi degli eventi bellici nell’Estremo Oriente con le umilianti sconfitte inflitte dalle armate giapponesi all’esercito imperiale e lo scoppio della rivoluzione nel gennaio del 1905 dopo la tragicamente famosa “domenica di sangue”, porranno il consesso nazional-conservatore e monarchico di fronte a quali misure prendere per rispondere all’entrata sulla scena delle masse nella politica, e a come organiz-zare una propria posizione antirivoluzionaria e in difesa dello zarismo.

 

Frutto di diversi anni di lavoro, “Il nazionalismo russo, 1900-1914” rappresenta il terminale di anni di lavoro di ricerca sulla cosiddetta area nazional-conservatrice durante la tarda età imperiale russa, un periodo breve ma pregno di avvenimenti significativi per lo sterminato impero zarista: la guerra russo-giapponese, la rivoluzione del 1905, l’inizio della grande guerra.

Giovanni Savino, già professore a Mosca e attualmente ricercatore presso l’università di Parma (un’anabasi dovuta, come successo a tanti altri, all’invasione russa dell’Ucraina lo scorso febbraio), conduce il lettore a conoscere le principali posizioni e i temi più importanti al centro del dibattito delle forze nazionaliste, con particolare attenzione alle relazioni con il movimento nazionale polacco e alla questione dell’identità ucraina. Una realtà, quella della destra nazionalista russa, per troppo tempo forse non abbastanza investigata dal mondo accademico, almeno quello italiano, e che gli accadimenti degli ultimi mesi hanno riportato al centro dell’attenzione.

Colpisce infatti come il linguaggio, l’ideologia, l’immaginario del nazionalismo russo dei primi del novecento appaiano spaventevolmente simili, quando non identici, ai proclami identitari di Vladimir Putin e della sua cerchia di ideologi e intellettuali, a più di cento anni, due guerre mondiali e una rivoluzione bolscevica di distanza.

 

Metropolit Evlogij

La nostra grande e immensa madre Rus’, e le numerose lingue e nazionalità vivono nel-lo spazio illimitato dell’impero russo e tutte loro si mescolano nel vasto grembo della nostra amata madre, della nostra comune patria; tutte loro si uniscono in un unico, indivisibile organismo statale, e né il deputato Bulat, né il deputato Miljukov, né i loro compagni possono intaccare e seminare divisioni nel nucleo unito statale russo della famiglia dei popoli che abitano l’impero russo.

Giovanni Savino, Università degli Studi di Parma, storico, si occupa di nazionalismo russo nel XX secolo e delle rappresentazioni del passato nella Russia di oggi. Ha insegnato all’Accademia presidenziale russa, all’Università pedagogica della città di Mosca e all’Università finanziaria russa, attualmente è visiting professor di Storia dell’Europa orientale presso l’Università di Parma. Ha collaborato a vari progetti di ricerca con l’Institute for European, Russian and Eurasian Studies della George Washington University e ha svolto il ruolo di coordinatore scientifico per un fondo promosso dalla Rosa Luxemburg Stiftung a Mosca. I suoi ultimi lavori sono: Vasily Shulgin (1878–1976): The Grandfather of Russian Nationalism, IERES Occasional Papers, 2020; From the White Armies to Nazi Collaboration: Alexei von Lampe (1885–1967), IERES Occasional Papers, 2020; La questione galiziana e il nazionalismo russo in guerra, 1902-17, «Contemporanea», 2019; A Reactionary Utopia? Russian Black Hundreds from Autocracy to Fascism, in M. Laruelle, Entangled Far Rights, 2018.

La versione scaricabile gratuitamente del libro.

L’intervista a Giovanni Savino andata in onda su radio onda rossa il 4 ottobre 2022

 

 

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Piccola borghesia, bastardo posto.

Dicembre 27, 2021

Sotto il profilo dell’organizzazione statuale ed economica, il fascismo rimane un oggetto difficile da comprendere. Un organismo sociale apparentemente incomprensibile nel quale convivono elementi dalle valenze opposte, un combinato di istanze economiche piccolo borghesi e capitalistiche storicamente in collisione tra loro.

Intorno ai cinquanta anni, molti militanti e attivisti di sinistra ritengono sia giunto il momento di dare alle stampe, se non lo hanno già fatto in precedenza, il loro primo libro. Si tratta di solito di romanzi o narrazioni più o meno esplicitamente autobiografiche: generalmente dimenticabili, alle volte imbarazzanti, in qualche caso interessanti (per esempio “Generazione di rimessa”, del romano Andrea Catarci).

Davide Vender, romano, classe 1966, attivo nei comitati autonomi universitari, poi nel movimento della pantera e nel Partito della rifondazione comunista, infine gestore e animatore, dal 1998, della libreria Odradek si è invece decisamente allontanato da questo cliché. A maggio di questo anno, dopo mesi di duro lavoro di ricerca, ha pubblicato il suo primo libro, “Piccola borghesia tra socialismo e fascismo”.

Davide vender

Davide Vender

Si tratta di una ricerca relativa a uno dei temi classici della storiografia contemporanea – le cause e i protagonisti dell’avvento del fascismo in Italia – che Vender però sviluppa in maniera affatto originale, individuando nella piccola borghesia contadina del centronord il vero motore dell’approdo di Benito Mussolini al potere. L’interpretazione del fascismo come semplice reazione ai tentativi rivoluzionari scoppiati all’indomani della grande guerra viene decisamente rifiutata in favore di una ricostruzione dei fatti che ricorda anzitutto i debiti, culturali e politici, del movimento fascista nei confronti del “socialismo imperiale” francese. Non quindi una mera risposta a un pericolo incombente ma il tentativo, da parte di quelli che Vender definisce “ceti sociali spuri”, di costruire un regime al tempo stesso rivoluzionario e conservatore, che ne salvaguardasse gli interessi e ne mettesse in sicurezza le attività.

Il libro ha sicuramente il pregio di unire l’accuratezza scientifica a uno stile agile, anche se mai sciatto, in grado di avvicinare sia i cultori della materia che i semplici curiosi. Ma il merito più importante è probabilmente quello di fornire una chiave di lettura, attraverso un’analisi rigorosa delle fonti, non solo del periodo del ventennio ma anche, e soprattutto, di quanto avvenuto a partire dal 1945. Se, afferma giustamente Vender, il fascismo è un regime morto e irriproducibile, è anche vero che quei ceti medi spuri che ne consentirono il trionfo sono tranquillamente sopravvissuti a sé stessi e hanno continuato, e continuano, a segnare la vita economica, politica e sociale del nostro paese. Le loro ansie, le loro speranze, i loro timori, costituiscono ancora adesso il motore di spinte poderose anche quando contraddittorie.

In definitiva, Piccola borghesia tra socialismo e fascismo costituisce davvero una piccola perla nel panorama della saggistica odierna, sia per quanto dice del nostro passato sia per quanto anticipa del nostro futuro. Sarebbe davvero un peccato se non ottenesse l’attenzione che merita.

Qui l’intervista con Davide Vender andata in onda su radio onda rossa

Per la piccola proprietà produttiva italiana gli scenari possibili non sono poi così tanti. O sarà in grado di sostenere l’urto della globalizzazione e della concorrenza, imparando a servirsi dello sviluppo finanziario del capitale, o sarà travolta dai mercati andando verso la proletarizzazione. In questa forbice si rimescoleranno le carte del conflitto sociale e della sua rappresentazione.

 

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Derry City F.C, la squadra che visse due volte

Dicembre 13, 2021

 

“Il Derry City F.C. e’ stato il fulcro della vita della comunità di Derry.. La storia del club si intreccia con quella della sua citta’… Ha visto la lotta, l’emarginazione, trasformarsi in rinnovamento e successo… nonostante tutti i suoi successi, il Derry City non sarebbe nulla senza la gente della citta’.”

Seconda città dell’Irlanda del nord, Derry (o Londonderry, a seconda che si aderisca alla comunità repubblicana o a quella lealista) è universalmente nota per uno dei fatti di sangue più terribili della seconda metà del secolo scorso nel Regno Unito, la Bloody sunday del 30 gennaio 1972, quando i paracadutisti di sua maestà aprirono il fuoco indiscriminatamente – e immotivatamente – su una manifestazione pacifica convocata per rivendicare uguaglianza di diritti per la discriminata minoranza della popolazione di religione cattolica e fede politica repubblicana. Al termine della giornata si contarono 14 vittime.

Il 30 gennaio segna l’inizio del periodo più turbolento dei Troubles, la guerra civile in Irlanda del nord, che si sarebbero arrestati, almeno dal punto di vista militare, solo un quarto di secolo dopo con gli accordi del venerdì santo dell’aprile del 1998. Quel periodo durissimo però segno anche una vittima sportiva, il Derry City Football Club, la squadra di calcio cittadina. Fondato nel 1928, il Derry City riuscì ad aggiudicarsi anche una lega nazionale nordirlandese, nel 1965, nonostante le difficoltà di ogni genere causate dall’essere la compagine del cuore della comunità repubblicana cittadina. Costretto a un certo punto a giocare tutte le gare in trasferta per problemi di ordine pubblico (tra l’altro nello stadio di una cittadina a maggioranza unionista), il club proprio nel 1972, a causa di una crisi finanziaria irrecuperabile, dovette ritirarsi dalle competizioni.

Una storia che però era solo interrotta, non terminata. Dodici anni più tardi, l’8 settembre 1985, grazie ad uno speciale lasciapassare della FIFA, il Derry City rinasceva dalle sue ceneri e veniva ammesso nella lega calcistica della repubblica irlandese, caso più unico che raro di una squadra di calcio che si trova a competere nel campionato di un’altra nazione. Un prodromo di quello che sarebbe avvenuto, molti anni dopo, in conseguenza del referendum sulla Brexit e delle nuove relazioni fra republica d’Irlanda e Irlanda del nord a seguito dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

All’epopea del Derry City F.C. è dedicata l’ultima fatica di Gianluca Cettineo, Derry City F.C. Calcio, repressione e rivolta (Urbone Publishing, pagine 308, euro 15). Autore anche di un altro libro dedicato al calcio nordirlandese (The Poppy & the Lily. Calcio ed etnia a Belfast.) Gianluca ci conduce in una lunga cavalcata attraverso la storia contemporanea dell’Irlanda del nord, utilizzando la prospettiva fornita dagli splendori e dalle miserie dei Candy stripes, i giocatori in biancorosso,  dall’esordio in Irish League nel 1928 fino ad oggi.

La presentazione di Derry City F.C. Calcio, repressione e rivolta, insieme a Gianluca Cettineo, andata in onda su radio onda rossa.

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L’era degli scarti. Cronache dal wasteocene, la discarica globale

Novembre 21, 2021

 

Che cosa sia l’antropocene, grossomodo, lo sappiamo tutti. Marco Armiero, napoletano di origine e poi, come spesso succede, accademico vagante, è voluto andare oltre ed ha dedicato il suo libro a quella che definisce “l’era degli scarti”, il wasteocene. Gli scarti di cui ci parla Armiero sono materiali e umani, le situazioni descritte note e meno note. Dalla ormai familiare, anche per chi vive a nord del Garigliano, discarica di Pianura, periferia occidentale di Napoli, alla terrificante Cancer Alley della Louisiana, la striscia di terra fra Baton Rouge e New Orleans dove si ammassano sette raffinerie di petrolio e ben 136 impianti petrolchimici, dai raccoglitori di rifiuti di Jardin Gramachao, a Rio de Janeiro, ai fuochi tossici di Tuzla, in Bosnia ed Erzegovina.

Brasile

Non una semplice elencazione di disastri più o meno conosciuti però, L’era degli scarti si propone, riuscendoci, di denunciare un sistema organizzativo globale basato sulla produzione continua di merci e, conseguentemente, di scarti materiali, culturali e umani. Nulla di troppo nuovo. L’autore si sofferma, giustamente, su due vicende che videro protagonista la sua città in tempi non troppo vicini: l’epidemia di colera del 1973 e quella, più remota, del 1884, in ambedue i casi i rifiuti, e le politiche sui rifiuti, giocarono un ruolo fondamentale.

I rifiuti però si portano dietro anche resistenze, opposizioni, storie drammatiche che vedono protagoniste quelle persone che non si rassegnano a essere uno scarto commercializzabile ma propongono, per quanto lo slogan possa risultare un po’ obsoleto, la possibilità di un altro mondo.

“Quando ero bambino, a Napoli, negli anni settanta, avevo un compagno delle elementari che si addormentava sempre in classe perché era stato sveglio tutta la notte a “fare i cartoni”… Ciro, insieme a molti altri bambini di Napoli a quei tempi, non lavorava i una cartiera che “faceva” i cartoni ma trascorreva la notte a raccoglierli dai mucchi di spazzatura urbana girando per le strade sul retro di un tipico Ape a tre ruote…In realtà, i cartonai erano operai in un tipo particolare di fabbrica, la metropoli, dove produzione e consumo sono meno separati di quanto si potrebbe pensare…Il fatto che a un certo punto Ciro fosse scomparso dalla classe, lasciando la scuola per sempre, mentre io sia diventato professore, spiega perché in questo libro lo scarto non sia considerato una cosa ma piuttosto un insieme di relazioni socio-ecologiche tese a (ri)produrre esclusioni e diseguaglianze.”

Ascolta l’intervista con Marco Armiero andata in onda su radio onda rossa.

 

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