Piccola borghesia, bastardo posto.

Dicembre 27, 2021

Sotto il profilo dell’organizzazione statuale ed economica, il fascismo rimane un oggetto difficile da comprendere. Un organismo sociale apparentemente incomprensibile nel quale convivono elementi dalle valenze opposte, un combinato di istanze economiche piccolo borghesi e capitalistiche storicamente in collisione tra loro.

Intorno ai cinquanta anni, molti militanti e attivisti di sinistra ritengono sia giunto il momento di dare alle stampe, se non lo hanno già fatto in precedenza, il loro primo libro. Si tratta di solito di romanzi o narrazioni più o meno esplicitamente autobiografiche: generalmente dimenticabili, alle volte imbarazzanti, in qualche caso interessanti (per esempio “Generazione di rimessa”, del romano Andrea Catarci).

Davide Vender, romano, classe 1966, attivo nei comitati autonomi universitari, poi nel movimento della pantera e nel Partito della rifondazione comunista, infine gestore e animatore, dal 1998, della libreria Odradek si è invece decisamente allontanato da questo cliché. A maggio di questo anno, dopo mesi di duro lavoro di ricerca, ha pubblicato il suo primo libro, “Piccola borghesia tra socialismo e fascismo”.

Davide vender

Davide Vender

Si tratta di una ricerca relativa a uno dei temi classici della storiografia contemporanea – le cause e i protagonisti dell’avvento del fascismo in Italia – che Vender però sviluppa in maniera affatto originale, individuando nella piccola borghesia contadina del centronord il vero motore dell’approdo di Benito Mussolini al potere. L’interpretazione del fascismo come semplice reazione ai tentativi rivoluzionari scoppiati all’indomani della grande guerra viene decisamente rifiutata in favore di una ricostruzione dei fatti che ricorda anzitutto i debiti, culturali e politici, del movimento fascista nei confronti del “socialismo imperiale” francese. Non quindi una mera risposta a un pericolo incombente ma il tentativo, da parte di quelli che Vender definisce “ceti sociali spuri”, di costruire un regime al tempo stesso rivoluzionario e conservatore, che ne salvaguardasse gli interessi e ne mettesse in sicurezza le attività.

Il libro ha sicuramente il pregio di unire l’accuratezza scientifica a uno stile agile, anche se mai sciatto, in grado di avvicinare sia i cultori della materia che i semplici curiosi. Ma il merito più importante è probabilmente quello di fornire una chiave di lettura, attraverso un’analisi rigorosa delle fonti, non solo del periodo del ventennio ma anche, e soprattutto, di quanto avvenuto a partire dal 1945. Se, afferma giustamente Vender, il fascismo è un regime morto e irriproducibile, è anche vero che quei ceti medi spuri che ne consentirono il trionfo sono tranquillamente sopravvissuti a sé stessi e hanno continuato, e continuano, a segnare la vita economica, politica e sociale del nostro paese. Le loro ansie, le loro speranze, i loro timori, costituiscono ancora adesso il motore di spinte poderose anche quando contraddittorie.

In definitiva, Piccola borghesia tra socialismo e fascismo costituisce davvero una piccola perla nel panorama della saggistica odierna, sia per quanto dice del nostro passato sia per quanto anticipa del nostro futuro. Sarebbe davvero un peccato se non ottenesse l’attenzione che merita.

Qui l’intervista con Davide Vender andata in onda su radio onda rossa

Per la piccola proprietà produttiva italiana gli scenari possibili non sono poi così tanti. O sarà in grado di sostenere l’urto della globalizzazione e della concorrenza, imparando a servirsi dello sviluppo finanziario del capitale, o sarà travolta dai mercati andando verso la proletarizzazione. In questa forbice si rimescoleranno le carte del conflitto sociale e della sua rappresentazione.

 

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